Oppenheimer - Regia di Christopher Nolan
Difficile parlare di Oppenheimer, dell’uomo,
ancorché del film a lui dedicato, senza associarlo alla memoria del tragico epilogo della seconda
guerra mondiale, alla tragedia di Hiroshima e Nagasaki, a tutto quel carico di
dolore di cui fu causa l’uso sconsiderato di un’arma micidiale come la bomba atomica. Il numero esorbitante
di morti annunciate e le conseguenze subite dai sopravvissuti condizionano
fortemente e inducono a osservare il
film da un’ottica che solo si sforza di mantenersi lucida; confidando però nel valore della regia che non ci ha mai
deluso, ci disponiamo alla visione di quest’ultima fatica di C. Nolan, certi che ci attendono tre ore di grande cinema da cui trarremo innumerevoli spunti di riflessione
e di discussione quali solo un’opera d’arte,
qualunque sia l’argomento trattato, può garantire.
Scivoliamo senza quasi accorgercene, dentro la
psiche di un uomo che creò l’Inferno e lo visse, non potendo frenare in alcun
modo quel cavallo impazzito, che altri lasciarono correre senza briglie, a seminare
distruzione e morte. Robert Oppenheimer, ragazzo eccezionalmente dotato, dopo
la laurea in chimica ad Harvard, parte per l’Inghilterra dove andrà a
completare gli studi e approfondire il campo della fisica quantistica, ambito
affascinante e ancora poco esplorato nel quale il giovane scienziato americano
eccellerà in breve tempo e si affermerà come una delle voci più autorevoli, in
questo campo, rivelando di tali studi i
possibili sorprendenti sviluppi. Era
nata una nuova era in linea con quell’autostrada tracciata dal genio di
Einstein che, con la teoria della relatività,
aveva già girato in maniera irreversibile la pagina della storia della
conoscenza umana. A Cambridge dove si
conobbero nacque tra i due una bella amicizia che li portò a frequentarsi e
collaborare per tutta la vita. .
Questi i fatti : queste
brevi note sono solo il presupposto imprescindibile per capire il senso di
quest’opera titanica per la quale, evitando di ripetere elogi e complimenti, ci
soffermeremo sul non detto, sulle sfumature, perché venga fuori tutta la
complessità, lo sforzo e l’impegno del regista come degli attori: una parata di
stelle di prima grandezza e tutte in stato di grazia, a partire da Cillian
Murphy. Ed è attraverso le pieghe del
volto di quest’ultimo e alla sua magistrale performance che penetriamo nei
meandri della psiche del “padre della
bomba atomica”, come nei misteri della materia che egli indagava con l’entusiasmo di un bambino e
quella passione travolgente che lo portò a vivere una vita in bilico tra realtà
e fantascienza; a quest’ultima strappò il “fanta” ma la gloria raggiunta, dopo anni di intensi
studi e immani sacrifici, gli procurò
non pochi problemi e un dolore pari al trionfo!
Pari al trionfo. Basta ad
assolverlo? Ci si chiede. No, non è questo il compito cui siamo chiamati in
questo caso, né intende essere questo il messaggio di Nolan, quel Nolan che in
“Insonnia”, una delle sue opere più pregevoli, ci induceva a seguirlo nello
scandaglio di un animo tormentato dal rimorso di un omicidio involontario, ma
che pesava come un macigno sulla coscienza di quell’ uomo irreprensibile quale
era il protagonista, vittima lui stesso di un inevitabile incidente di
percorso, verificatosi nell’esercizio delle sue funzioni di detective. La
scelta di tradurre in linguaggio filmico la monumentale biografia del Prometeo
americano, di kai Bird e Martin J.
Sherwin è dunque un nuovo allettante invito a conoscere un uomo, le sue fragilità, la sua “umanità” e
mai, come in questo caso, le virgolette
si possono rivelare più opportune.
A Cambridge, da New York dove era
nato, il giovane Robert si recò per completare gli studi ed ebbe modo di
seguire i corsi di Bohr (Kenneth Branagh) fisico danese già Nobel per la fisica
nel 1922, il primo a intuire le sue notevoli potenzialità, e di conoscere e
collaborare con il gota degli scienziati di quel tempo; in breve ottenne una
cattedra per insegnare all’università di Leiden, in Olanda dove tempestivamente
imparò la lingua a tal punto da poter
tenere le sue lezioni in olandese. Furono quelli anni di grande impegno.
l’Europa lo affascinò, quella temperie culturale, che agli inizi del ‘900 aveva, in tutti i campi della conoscenza umana, scatenato eccezionali novità, lo entusiasmava
: Freud, Jung, Picasso, Stravinskij,
Eliot, furono i suoi miti. Di tutto questo bagaglio di scienza, arte e cultura
fece tesoro, ma esso non bastò a riempire il vuoto che la lontananza dal suo
paese gli aveva procurato; gli mancava
il New Messico e forse la lettura di “The waste land” in qualche modo, gliene
faceva sentire la nostalgia. Quel
paesaggio ruvido, desertico, quel nulla da cui tutto può nascere e a cui tutto
forse ritorna, stimolava anche solo nel ricordo, la sua
mente e nutriva la sua creatività. Torna in America, dove immediatamente viene
scelto dal generale Leslie Groves (uno strepitoso Matt Damon) che lo preferisce
all’italiano Enrico Fermi, per dirigere e coordinare il progetto Manhattan,
quello finalizzato a realizzare e testare
la bomba atomica. Avrà intorno un’equipe d’eccezione: lo stesso Fermi,
Compton, Meis, Lawrence, Seaborg, Mcmillan, Segrè, Chamberlain, Wigner,
Schwinger, tutti premi Nobel, “ca va sens dire”! . Per il novello Prometeo sarà
l’inizio della fine che gli farà dire di se stesso: “Sono portatore di morte,
il distruttore di mondi”! La stessa America, infatti, il suo paese, quello per
il quale aveva costruito un ordigno micidiale allo scopo di difenderlo
dall’attacco dei giapponesi e porre fine alla guerra, come di fatto
accadde, aveva tramato invece contro di
lui, da tempi non sospetti: fu tacciato
di essere traditore, complottista, comunista, comunque una spia! Assurde,
miserevoli calunnie che l’invidia fomentava. In verità egli non osteggiò mai la
politica degli Stati Uniti, era un liberal-democrtico, se proprio lo si vuol
definire , ma il suo paese non accettò le sue frequentazioni, le sue amicizie,
gli amori, le riunioni conviviali presso famiglie di sostenitori della Spagna
antifranchista, in breve, i comunisti appunto, indesiderabili al pari dei
nazifascisti e tutti quegli’ intellettuali schierati apertamente contro i regimi totalitari che intanto
insanguinavano l’Europa. Non dimentichiamo che Oppenheimer stesso era figlio di
immigrati ebrei-tedeschi che in
Germania avevano lasciato gran parte
della famiglia e tanti amici. L’America dunque
aveva avuto bisogno dello scienziato, ne
aveva osannato il Genio, si era servita di lui, ma nessuno spazio aveva lasciato all’uomo! E’
questa la chiave di lettura, la prima , la più importante, non solo per leggere
il film, ma tutto quanto si è detto, fatto
e scritto su di lui. Controllato e passato a setaccio ogni brandello
della sua non facile vita, lo infangarono con ogni sorta di squallide “fakes”,
nient’altro che ovvietà, facili da inventare, altrettanto da diffondere; gli attribuirono molti flirt per esempio,
mentre invece si sa per certo che fu
legato per tutta la vita a due donne : Jean e Kitty. La prima
fu Jean Tatlock, psichiatra, alunna di Jung, una delle prime donne in
America a laurearsi in medicina e specializzarsi in una branca appannaggio di
soli uomini, sino ad allora. Con la prima, visse una relazione intensa e
passionale che solo la morte di lei, suicida a soli 29 anni, interruppe ,
procurandogli un immenso dolore. L’altra sarà la moglie Kitty, al quarto
matrimonio quando lo sposò; gli fu poi compagna sino alla morte che lo colse a
62 anni. Furono anch’esse donne straordinarie ma, nel film appaiono come
penalizzate dalla personalità debordante del loro uomo. Deludente dunque, ma
forse volutamente sotto tono, la performance di due attrici che certo avrebbero
meritato un maggiore spazio e una luce più calda , a giudicare dalle rispettive
biografie, oggi ben note, che hanno
consegnato alla storia un ritratto di esse decisamente più articolato e
complesso. Emily Blunt (Kitty), l’abbiamo vista in ruoli dove si mostra ben
più energica e convincente, così pure Florence Pugh, indimenticabile interprete
del “Prodigio”, film di cui essa stessa era il prodigio! Rimane il dubbio se
ciò sia da attribuire a eccesso di zelo
nel seguire le indicazioni della regia o ad istintiva soggezione, comprensibile, nei
confronti del ruolo, assai rischioso per il quale Nolan le ha scelte. Kitty,
come moglie del genio, perfetta ma troppo gelida, Jean quasi del tutto succube
e incapace di dominarlo se non con scenate isteriche e irritanti. Si fa
perdonare però, almeno in una scena, Jean è impagabile, quando il suo Robert,
le comunica che sta per sposare Kitty, già in attesa del suo primogenito, lo
fredda con una battuta che lo lascia senza parole: “Che persona civile”! Nessun numero, nessuna formula viene incontro
al luminare della fisica in quel momento e gli suggerisce alcunché per
alleviare alla compagna la pena che le infligge lasciandola. E “persona civile”
Robert Oppenheimer fu certo anche, quando all’apice del successo, dopo avere
realizzato e testato l’arma che cambiò
irreversibilmente il destino del mondo, informò le autorità dello
Stato degli effetti micidiali che
essa avrebbe causato, ma a nulla servì
tale sacrosanto scrupolo, ”the gadget” come lo chiamavano in codice nel corso
della sperimentazione, gli fu tolto
dalle mani e gli fu detto sbrigativamente che egli non aveva più alcun diritto
su di esso; usarlo o no, era assoluta insindacabile volontà del Presidente
(Gary Oldman sempre a suo agio nei panni di vertici del potere) che offrì allo
scienziato il fazzoletto, sentendogli
dichiarare di “ sentirsi le mani sporche di sangue”! Truman diede l’ordine, e
tutto il resto è “storia”, anzi “orrore” e d’ora in poi le due parole saranno
troppo spesso sinonimi. La guerra finì,
ma cominciò dentro la coscienza di Robert; il complesso di colpa non lo
abbandonò mai; se ad esso si aggiunge quella “damnatio memoriae” in vita ,
inversamente proporzionale ai fasti del successo, possiamo avere un’idea di
quale può essere stata la sua vita da quel giorno in poi. I suoi nemici, in
particolare, Lewis Strauss, il figlio d’un lustrascarpe assurto ai posti di
comando e diventato il capo dell’U.S. Atomic Energy Commission ( un
“vomitevole” dunque perfetto, Robert Deweney junior), nel 1954 gli intentò un
processo; più che un processo, si tratterà di un’ennesima umiliazione che solo
servirà a togliere allo scienziato il
nulla osta sulla sicurezza: non avrebbe potuto più accedere agli studi che lui stesso aveva creato!
A sostenerlo, come testimone chiave,
la moglie, ferma come una roccia, Kitty, sbriciola le accuse infamanti di cui
il marito è vittima; prenderà la parola anche lo scienziato David Hill (Rame
Malik ci regala qui un autentico apprezzabilissimo cammeo) e fa notare, senza essere purtroppo
ascoltato, come si fosse sempre opposto
a che Strauss fosse nominato capo dell’
A.E.C! I giochi purtroppo, erano stati già
fatti e l’epilogo di essi già
stabilito!
Conclusasi la”farsa”, i due binari sui quali
scorrono incalzanti tre ore di immagini si fondono, il bianco e nero che
simboleggiava l’ora più buia degli Stati Uniti d’America, lascia il posto al
colore, al presente, alla vita reale: Robert e Kitty si avviano mano nella mano
verso casa.
Il loro sorriso malinconico ed
enigmatico, è un invito a riflettere, ad agire prima che sia troppo tardi e non
autoassolverci senza neanche avere tentato; non abbiamo meno responsabilità di
loro di fronte all’orrore che tiene in ostaggio il mondo; sta a noi oggi fermarlo, se non ora, quando?
Jolanda Elettra Di Stefano
Regia: Cristopher Nolan
Sceneggiatura: C. Nolan, Kai Bird e MartinJ. Sherwin
Attori principali: Cillian Murphy (Oppenheimer)- Emily Blunt ( Kitty Oppenheimer)- Tom Conti ( Einstein) Kenneth Branagh (Niels Bohr)- Robert Downey Jr ( Lewis Strauss)- Gary Oldman( Truman-Il Presidente) - Florence Pugh (Jean Tatlochk) -Mat Damon (Leslie Groves) Rami Malek (Davide Hill)
Fotografia :Hoyote Van Hoytema
Colonna sonora: L. Goransson
Scenografia: Adam Willis e Kathy Lucas
Montaggio: Jennifer Lame
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