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                                        " Megalopolis " (2024) regia di Francis Ford Coppola “I sogni sono ancora sogni e l’avvenire ormai quasi passato…” cantava Luigi Tenco; togliamo il quasi e vien fuori “Megalopolis”, “Il sogno lungo…  40 anni” che il regista Francis Ford Coppola, ha potuto finalmente realizzare, producendoselo da se. La MGM, mega casa di produzione americana, che pure aveva manifestato il suo interesse verso questo, allora solo progetto, lo respinse ritenendolo  troppo ambizioso, eccentrico e costosissimo; evidentemente non apprezzò il  valore di  un’opera che invece oggi  lascia interdetti per l’attualità del suo messaggio, per quello che ci racconta della realtà complessa e  spesso indecifrabile   che viviamo e  che questa favola distopica e disorientante, riflette a pieno. Per discuterla  e coglierne i molteplici significati, allontaniamo il ricordo, sempre vivo, di “Apocalisse now”, film col quale Coppola, attingendo alla lezione di Conrad, condannò
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                                 “ VERMIGLIO ” (2024), regia di Maura Delpero Del mio scudo si fa bello uno dei Sai. Presso un cespuglio lo dovetti lasciare e mi dispiacque : che bellezza di scudo! Ma salvai la pelle! Al diavolo! Non me ne importa più nulla, ne avrò un altro migliore! E’ questa in sintesi la tesi di ”Vermiglio”, il film di Maura Delpero, già “Leone d’argento” a Venezia (2024) e già scelto per rappresentare l’Italia ai prossimi Oscar. Ottima accoglienza dunque e ottimo lancio! Lontanissimi nel tempo e nello spazio, i sopra citati versi di Archiloco (poeta greco del V sec. A.C.), riassumono, se non la trama, il nocciolo di essa: la guerra e tutti i suoi disastri, il prima e il dopo, l’angoscia dell’attesa  da parte delle famiglie di coloro che sono stati costretti a partire, il ritorno mai scontato e non sempre, quando avviene, nella giusta direzione, con tutte le conseguenze del caso. Effetti collaterali di quella che è una “sconfitta”, ancor prima che si combatta, come
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                                " LA MISURA DEL DUBBIO " (2024), Regia di Daniel Auteuil   Se fosse una storia inventata, l’avrebbe scritta Simenon e avrebbe avuto un epilogo inequivocabile e appagante , invece “ La misura del dubbio”   ci fa conoscere un fatto realmente accaduto; dunque, dopo averlo seguito col fiato sospeso, indotto da una buona dose di suspence, sapientemente orchestrata da un montaggio ad essa complice, assistiamo ad un finale che spiazza e delude non poco; si rimane con la sensazione che qualcosa non quadri e che il caso necessiti di ulteriori indagini e approfondimenti. Desta non poche perplessità, per esempio, il fatto che l’imputato si rassegni a scontare la pena, rifiutando anche il ricorso in appello che l’avvocato difensore, assegnatogli d’ufficio, gli consiglia vivamente, puntando sul fatto che le prove che lo incriminerebbero sono del tutto irrilevanti, se non addirittura al limite del ridicolo! La giustizia, come troppo spesso accade, latita ed
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    Mr. Klein    - Regia di Joseph  Losey –  (1975) Remembering  Alain Delon Mr. Klein, un capolavoro, uno dei tanti di Joseph Losey, che ci fornisce una chiave di lettura inedita, forse unica, nel panorama che si fa  sempre più vasto degli “omaggi” alla memoria dell’Olocausto. Alain Delon, in una delle sue migliori performance, presta il volto e dà spessore ad una psicologia complessa, ambigua quale è quella del protagonista, personaggio che sfugge ad ogni nostro legittimo tentativo di razionalizzarne i comportamenti. Quale migliore metafora per significare un fenomeno la cui mostruosità  solo il sonno della ragione poteva partorire. La Shoah è qui vista dalla parte di chi la sfrutta, la accetta, dunque la considera un normale risvolto della guerra da cui poter trarre lauti guadagni. Mr. Klein, mercante d’arte,  uomo colto, raffinato, affascinante, ma privo di scrupoli, approfitta con cinica determinazione del dramma degli ebrei deportati; compra a poco prezzo i loro  preziosi  quadri
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                         " E la festa continua! " (2023) Regia di Robert Guediguian Filmando con Marsiglia nel cuore, Robert Guediguian, il regista, in :   “E la festa continua!”, esalta l’aspra bellezza della sua città, svelandone anche le contraddizioni   perché “con esse -dice- bisogna convivere”. E sse sono la metafora della “bella confusione etnica” che si è venuta a creare con le immigrazioni e che va accolta, anzi benedetta, perché è da essa che possono nascere. ancora e sempre,   memoria, cultura, pace!   Il busto di Omero, il leggendario poeta greco, posto sull’obelisco   che svetta tra le case in Rue d’Aubagne, a volte sembra sorridere, a volte   appare pensieroso, a volte perplesso; nella sua ieratica staticità, è un punto di riferimento per tutto il quartiere che   osserva da secoli   con dignitosa rassegnazione. E’ cieco sì, così lo vuole e lo tramanda la leggenda, ma non sordo, sicché anche lui, se non ha visto, ha certo sentito la notte del 5 Novembre 2018  
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                               La zona d'interesse (2023) - regia di Jonathan Glazer Terminata la prima guerra mondiale, la Germania sconfitta risorge, non senza difficoltà, ma alacremente, in tutti i campi, compresa la scienza, la tecnica e l’arte; in quest’ambito e nell’architettura in particolare, acquista un ruolo di primo piano che avrà nella scuola  del ”Bauhaus”, la sua consacrazione. La dirige l’architetto Walter Gropius e vi insegnano artisti come Paul Klee, Wilehlm  Kandiskji, Mies Van De Rohes, i quali portano avanti il cammino tracciato dall’inglese William Morris, maestro di quell’arte nuova, frutto degli apporti congiunti di più espressioni artistiche e attività artigianali. Non si intendeva più progettare  per un’ élite, ma si voleva andare incontro alle esigenze di tutti, produrre adottando linee semplici sia per gli edifici, che per i mobili e gli oggetti di arredo o di uso quotidiano. Il sogno durò appena 15 anni; Hitler, appena asceso al potere, chiuse la Bauha
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                                                                                                                                  " The holdovers- Lezioni di vita ", r egia di Alexander Payne Dalla chiassosa e irriverente commedia degli esordi, “Sideways”,   Alexander Payne preleva Paul Giamatti, suo attore feticcio,    e lo catapulta dall’atmosfera calda e narcotizzante della California, nel gelido inverno del   New England dove, affidandogli sempre lo stesso ruolo, quella del prof. isterico e sfigato,   qui docente alla Barton school, uno dei più prestigiosi college d’America,   riesce a trarre da lui, oggi tra i migliori interpreti del cinema internazionale,   note malinconiche, autentiche vibrazioni dell’anima simili a quelle che ha espresso in film come “ Vite private” o addirittura anche   in ruoli minori   come quello dell’indimenticabile autista di   Mrsz Pamela Traves in “Saving mr. Banks”. Prendendo spunto dal film di Marcel Pagnol del 1936, Payne ci mostra uno sp