L'abbaglio (2025), regia di Roberto Andò

 Un spassosa “Ucronia” che si deve alla penna  di Roberto Andò e dei suoi fedelissimi collaboratori, gli stessi con i quali ha realizzato  il suo precedente successo, La stranezza”. Ripercorrendo lo stesso sentiero impervio, ma proprio per questo ancor più  interessante, seguendo il quale è riuscito a introdursi e introdurci nei labirinti della creatività del mai del tutto esaustivamente  esplorato  drammaturgo Luigi Pirandello, il regista ci regala con l’abbaglio” un’opera di pregio, che incanta  e seduce pur  lasciando ampio spazio di riflessione e ripensamento, che segnerà la storia e la storia del cinema almeno per un altro millennio a seguire. Esagero? Può darsi, sono di parte, siciliana, cresciuta a pane e ironia, non posso fare a meno di apprezzare quell’umorismo schietto e genuino, lieve ma profondo  di Ficarra e Picone,   così pure l’affettuoso approccio con cui Tony Servillo, napoletano doc, impersona il colonnello Orsini, palermitano di rare virtù, luogotenente del generale Garibaldi al tempo dell’impresa dei 1000, e l’adorabile Giulia Lazzarini, l’indimenticabile “Ariel” della nostra adolescenza, qui nel ruolo significativo e commovente della madre di lui.
Il film , tratto da un racconto di Leonardo Sciascia dal titolo emblematico “Il silenzio”, parola che, una volta tanto, non significa omertà, ma anzi, dignità e solidarietà umana, narra le vicende di due avventurieri, partoriti dalla fantasia degli autori, che li hanno modellati con tale maestria e arguzia   da renderli  perfettamente aderenti alla duttile personalità di  Ficarra e Picone e farli apparire più veri del vero! Sono essi infatti la “Storia”,  mentre invece la storia, come l’abbiamo studiata a scuola, non è altro che uno sfondo! Vediamo infatti, di essa il back stage, il fuori onda,  quindi paradossalmente la verità! Due “miserabili pezzenti” si arruolano tra i “Mille” per puro tornaconto, l’uno Domenico Tricò (Ficarra) desideroso solo di ritrovare in Sicilia,  la fidanzata e sposarsi, l’altro, Rosario Spitali, sedicente “barone”, in realtà solo baro di professione, in fuga da quei creditori che ha truffato, e ai quali,  sui tavoli da gioco, ha estorto ingenti somme di denaro. Diserteranno non appena sbarcati in Sicilia e parallelamente alle azioni militari vivranno, in proprio,  avventure rocambolesche che niente hanno a che vedere con gli ideali del Risorgimento. Non più garibaldini dunque, una volta messo piede sulla terra natia, ma “Siciliani” a tutto tondo, vigliacchi, scansafatiche, “nati stanchi” e solo per tirare a campare.  Ciò non toglie che al momento opportuno sapranno sfoderare a sorpresa, quella nascosta innegabile virtù meridionale, che li farà protagonisti  e artefici del loro, come del destino di tutto un popolo!
 Come in quei libri che leggevamo da bambini, che bastava sfogliare perché le figure scattassero in  posizione verticale  e ci regalassero l’illusione della tridimensionalità,  Domenico e Rosario rubano la  scena allo stesso Garibaldi e agiranno nel bene e nel male come indiscussi primi “attori”. Sullo sfondo infatti, come dicevo all’inizio, grigi, sbiaditi come dagherrotipi, coperti di polvere e scovati in soffitta per caso dalle zampette di  un gatto impiccione, appaiono gli artefici della cosiddetta Rivoluzione italiana. L’eroe dei due mondi, uomo di grande fascino, occhi profondi che guardano lontano, verso quel futuro che sta regalando anche a chi non lo vuole; ne è l’interprete Tommaso Ragno, il quale, smessi i panni del maestro di Vermiglio, in verità troppo seriosi e non del tutto realistici, ha acquistato quelli dell’uomo d’azione, svelto nel decidere, ma prudente e geniale nel concepire una manovra vincente  che si rivelerà  scacco matto per l’esercito dei Borbone. Intorno a lui, le camice rosse dei “1000”, non un esercito regolare ma un numero , un numero fortunato, forse, stante il colore delle loro giubbe, comunque perfetto elemento scenico che anche Guttuso immortalerà in uno dei suoi più celebri quadri. Il colonnello Orsini, uomo d’altri tempi, nobile di nome e di fatto, braccio destro e sinistro del generale Garibaldi, essendosi accollato una manovra diversiva rischiosissima, il giovane tenentino Ragusin, felice macchietta, con quell’accento “nordico” che ne sottolinea l’ingenuità e al contempo rimanda a  una lingua italiana ancora  in attesa della sua integrazione. Non a caso il film è quasi tutto recitato in siciliano e tradotto con sottotitoli.                    
E ancora  tra personaggi  e interpreti,  primo inter pares, il paesaggio siciliano,  la campagna, arida , assolata, qua e là cosparsa da cespugli di ginestre. Pare di sentire il profumo di quel fiore che Leopardi cantò come  simbolo di un mondo nuovo che si augurava dovesse nascere sulla base imprescindibile della solidarietà e della fratellanza. In questo deserto,  tra queste pietre, tra ruderi di antiche e gloriose vestigia  si aggirano,  senza ideali e senza meta, i protagonisti del racconto di Andò,  figure emblematiche che riassumono nella loro patologica strafottenza anche i personaggi che hanno fatto la storia del cinema e dell’Italia tutta, ancor più di tutti gli eroi, le cui statue affollano le strade  e le piazze del nostro “Bel Paese”:   Giovanni Busacca e Oreste Jacovacci (alias  Vittorio Gassman  e Alberto Sordi diretti da  Monicelli ) due giovani scapestrati che,  chiamati al fronte,   tentarono con ogni mezzo di disertare da quella “Grande  guerra”  che di grande potè poi solo vantare lo sterminio degli Ebrei e il mostruoso epilogo consumatosi  a Hiroshima e a Nagasaki; la loro fine , però, è innegabile, fu da eroi! Figura  indimenticabile inoltre “ Il generale della  Rovere”, al quale dà corpo e anima, diretto da Rossellini, Vittorio De Sica, un imbroglione, un uomo senza scrupoli che inaspettatamente vedremo  offrirsi alla morte con grande dignità! E ancora, Vittorio Gassman ne “L’armata Brancaleone” di Monicelli che ricostruì un Medioevo pittoresco e straccione di cui noi oggi siamo, potremmo dire  per certi versi, il futuro distopico. E così via, dissacrando la retorica della guerra, non si può trascurare “Allons enfants”, un film che dipinse in forma memorabile, quella prima  grande illusione che portò i giacobini italiani a seguire Bonaparte! A renderla sullo schermo un impareggiabile Mastroianni!
 Allora è chiaro che cos’è “L’abbaglio”?!  Il titolo del film si rivela in tutta la sua icastica pregnanza che  anche la musica, infine, ironicamente esalta ricorrendo alle note altisonanti del “Nabucco”! Appare in tutto il suo squallore  per contrasto, quest’ attuale tristissima politica, piatta e maleodorante, anemica e sanguigna nello stesso tempo, che viviamo, che accettiamo, il fascino della destra che cavalca indomita dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre a… Washington, quel  fascino fin troppo facile da identificare e  difficile da digerire da parte di tutta quella fetta  di umanità che soffre, quel fascino che fa girare la testa … speriamo presto però, almeno per quel che ci riguarda,  in tutt’altra direzione!
                                                                      Jolanda Elettra Di Stefano                                                                                                                           

 

 

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