VIAGGIARE  col  CINEMA

  

        “Molière in bicicletta”

C’è un’isola, lungo la costa francese dell’Atlantico, di fronte a  La Rochelle, suggestiva e dal sapore un po’aspro, come le acque dell’Oceano che la bagnano. E’ qui che vive Molière, la sua seconda vita naturalmente, e qui avremo modo di incontrarlo, se saremo discreti, se non mostreremo, in alcun modo, di voler violare la sua privacy.

 La sua casa: un delizioso rustico in pietra, rallegrato da due ordini sovrapposti di finestre azzurre che si affacciano sul cortile, a sua volta recinto da un muro che protegge e difende l’anonimato dell’illustre abitante. Qualche fiore sparso qua e là  sporge timidamente tra le pietre, omaggio al maestro e sano, efficace, contrasto all’odore, non proprio gradevolissimo, che la fogna, non allacciata alla rete del comune, a tratti, emana.  Vivere lontano da tutti e da tutto, in un secolo e in un millennio in cui non si è nati, in maniera spartana e senza particolari confort, ha i suoi costi. Ma a queste quisquilie il genio non bada;  gli basta il silenzio, i libri, la musica e la pittura, cui si dedica per dare sfogo alla sua, ancora fertile, creatività. L’interno della “home”, tutto un  bazar di cose utili e cianfrusaglie disposte con pari dignità: le pareti, color azzurro una volta intenso, oggi scolorite dal tempo e dalla malinconia, fanno da cornice all’estroso disordine e ne sublimano il valore.

Fulcro della casa un camino scoppiettante, sempre acceso di un fuoco vivo, caldo e accogliente.  Qui  vive il beniamino di Re Sole, sotto falso nome,  si chiama Serge   Tanneur,  lontano dal mondo e dal suo inconcludente chiacchiericcio, all’ombra dei suoi ricordi, della sua arte, della sua assoluta purezza di cuore, quella  di Alceste, “il misantropo”, la commedia ( commedia?!) che  lo rappresenta al meglio! Ma oggi è impossibile, anche a monsieur Molière, sfuggire alla pazza folla, ma soprattutto a quel mondo, quello dello spettacolo, oggi putrido e maleodorante più che mai, dove invece Gauthier Valance, l’attore che improvvisamente si materializzerà dinanzi a lui per convincerlo a tornare a calcare le scene, è immerso sino al collo!

Accadrà l’impensabile. La natura incontaminata  che protegge il ”Buen Retiro “ di Serge Tanneur  si insinua pian piano nei meandri della psiche contorta di Gauthier che si lascia trascinare dall’incanto; addirittura  gli verrà  voglia di comprare una casa   in loco; osserva il paesaggio, percorre in bicicletta i sentieri che corrono lungo gli stagni, si lascia avvolgere da quella atmosfera magica che è tipica di tutte le isole, ma che all’Ile de ré a un  fascino tutto particolare. E la fotografia di J. C. Larrieu, tutta giocata nei toni dell’acquarello, lo coglie in pieno.  La sabbia dorata delle interminabili spiagge che sfumano nell’azzurro degli specchi d’acqua che si perdono all’infinito, in una corsa felice incontro al sole,  non possono lasciare indifferenti, anzi inducono a godere di quel silenzio che spinge all’introspezione, a gettare ogni maschera  e  provare ad esser se stessi o, per lo meno,  sforzarsi di capire e condividere, anche se non del tutto, la scelta di Serge.

Anche girare l’isola col pretesto di visitare case  per eventuale acquisto,  serve a fruire della bellezza del luogo, e può capitare di imbattersi in un  graziosissimo, antico mulino con le pareti rotonde e il tetto a cono, dipinto di blu, che sembra uscito da una fiaba! Poco lontano qualcuno giura di aver intravisto Don Quijote  riposare accanto al suo ronzino,  pacificato nella sua smania di combattere, ma… contro chi?! se tutto è così sereno! A vegliare su questa pace e  a contribuire a crearla, il campanile gotico della Chiesa cattolica di Sant’Etienne, visibile da tutte le parti e  spesso inquadrato dal regista che lo usa come  puntuale contrappunto delle  bizzarre vicende narrate,  nonché come simbolo  benedicente del piccolo borgo felice, dove accade anche di potere  ascoltare Molière che  recita dal vivo, a memoria, memorabili battute del suo Misantropo!  E’ uno spasso sentirlo interloquire e litigare con il finto Filinte.  Assistiamo ad un’autentica lezione di teatro, ne percepiamo tutto il valore, ne constatiamo la catartica forza, quella che in ognuno di noi genera quell’invito a leggere dentro se stessi. Come in una matriosca, il film rivela, di scena in scena, il mistero del teatro quando rappresenta se stesso;  il cinema, come una cornice, infine,  lo comprende e lo sublima. Noi spettatori  non  distinguiamo più  a un tratto né l’uno né l’altro; siamo coinvolti nel gioco che vede contrapporsi due mondi, due ottiche, due prospettive da cui osservare la vita: da un lato il borghese quieto vivere e la sua colpevole indolenza, dall’altro l’assoluta purezza d’animo che non ammette compromessi,  chiama fango il fango e  la volgarità volgarità.

Al cinema che insegue fama e soldi, che non disdegna il porno, perché no’?! e si realizza al meglio, anzi al peggio, con le fiction televisive che garantiscono popolarità illimitata, monsieur Molière non regge, e distrugge con una battuta l’amico-attore a cui pure ha promesso, non senza ripensamenti, borbottii e qualche cattiveria,  di portare a termine, provando e riprovando lo spettacolo che sì, finalmente si farà, ma a patto che Serge  interpreti il ruolo di Alceste. Su questo punto Monsieur Molière  sarà irremovibile, come sempre, anche reincarnandosi in  Serge Tanneur/Fabrice Luchini; è certo di poter dominare ancora una volta  la scena, mettendo all’angolo  “Filinte” ( Gauthier Valance/ Lambert Wilson- bravissimo- va detto, nel suo ruolo di spalla del genio), la sua miseria, quel vuoto, quella frivolezza che solo  un narcisismo patologico  può generare. Per esso non c’è cura, se non la scelta di Serge di vivere da misantropo, lontano dalla pazza folla e disconnesso dai  cellulari, dai media, da ogni rete di comunicazione,  persino dalla rete fognaria comunale cui rinuncia caparbiamente di allacciarsi, dato il costo elevato dell’intervento.

 Solo, infatti alla fine, disteso sulla sabbia dorata che accoglie, come una grazia di Dio, gli ultimi abbagli di sole, monsieur Molière, pago della sua orgogliosa solitudine, recita, felice di quel poco di cui ha scelto di accontentarsi, le ultime lapidarie battute del suo capolavoro:

  Signore, ormai voi detestate l’umana natura !

 Si, per me essa non è che una spaventosa sciagura!”

                                                        Jolanda Elettra Di Stefano

“Molière in bicicletta” ( titolo originale : ” Alceste à bicyclette” )

                                  Regia di Philippe Le Guay

Inerpreti principali: Fabrice Luchini -Lambert Wilson - Maja Sansa

Sceneggiatura : Fabrice Luchini e Philippe Le Guay –

                         Ha collaborato Emmanuel Carrère

Fotografia : Jean Claude Larrieu

Musica: Jorge Arriagada/

               “Il mondo” di Greco-Pes, è cantata da Jimmy Fontana

              “La bicyclette” di Francis Lai è cantata da Y. Montand 

 

 

Commenti

  1. Essere paghi della propria solitudine non è un obiettivo trascurabile. Brava Iolanda recensione ineccepibile e deliziosa

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