"E la festa continua!" (2023) Regia di Robert Guediguian
Filmando con Marsiglia nel cuore, Robert Guediguian, il regista, in : “E la festa continua!”, esalta l’aspra bellezza della sua città, svelandone anche le contraddizioni perché “con esse -dice- bisogna convivere”. Esse sono la metafora della “bella confusione etnica” che si è venuta a creare con le immigrazioni e che va accolta, anzi benedetta, perché è da essa che possono nascere. ancora e sempre, memoria, cultura, pace! Il busto di Omero, il leggendario poeta greco, posto sull’obelisco che svetta tra le case in Rue d’Aubagne, a volte sembra sorridere, a volte appare pensieroso, a volte perplesso; nella sua ieratica staticità, è un punto di riferimento per tutto il quartiere che osserva da secoli con dignitosa rassegnazione. E’ cieco sì, così lo vuole e lo tramanda la leggenda, ma non sordo, sicché anche lui, se non ha visto, ha certo sentito la notte del 5 Novembre 2018 lo schianto, il rumore sordo del crollo dei palazzi scandalosamente franati alle sue spalle, lasciando a terra otto morti, famiglie senza casa, dolore e disperazione. Di chi la responsabilità? Del comune? Di scelte urbanistiche, non solo esteticamente sgradevoli, ma certamente scorrette, dettate dalla fretta, dalla corruzione, da una politica lontana anni luce dalle esigenze del popolo, dall’aver trascurato la periferia quella periferia che, se curata adeguatamente, a Marsiglia regala il profumo e la carezza del mare, splendidi tramonti, colori e calore umano. A questo fa appello, come sempre, il regista Robert Guediguian, marsigliese d’origine armena, e qui snocciola, questa volta con semplicità e leggerezza, il suo “credo comunista”, mettendo il dito sulla piaga del fallimento della sinistra in Francia, come in tutto l’Occidente, oggi a rischio di “democrazia illiberale”, come la definisce Roberto Saviano. Da dove può venire il riscatto? Non più dagli ideologi, in crisi anche di parole, non dai grandi progetti che implicano massicci investimenti di denaro che nessun governo può garantire, bensì da anonimi abitanti dei quartieri abbandonati a se stessi, da tutte le persone che soffrono nell’attesa di un esame clinico troppo a lungo procrastinato, di tutti coloro che non riescono a sbarcare il lunario se non a prezzo di immensi sacrifici, da tutti coloro che ancora sanno gioire di un’esistenza semplice e che non si fermano davanti agli innumerevoli ostacoli che la vita pone dinanzi a tutti. Penso anche alla solitudine, all’emarginazione, allo spaesamento di quei tanti che arrivano da lontano come i Fenici e i Focesi, che in tempi ancestrali fondarono la città, e oggi dal Nord Africa, o dall’ Europa dell’Est, dall’Armenia, per esempio. Già, “gli Armeni” hanno fondato Marsiglia! spiega il padrone del ristorante del porto, alle sue bambine, correggendo il loro libro di storia e approfittandone per esaltare la tradizione culinaria dei suoi avi: la pasta con le acciughe e il limone, il piatto forte del suo locale. Una goduria per il palato e una delle tante meraviglie della città !
“Cerchiamo di mostrare la
bellezza del mondo e non di compiacerci degli orrori; oggi dobbiamo mostrare la
luce che c’è dentro ognuno di noi. Il realismo crudo alla Pasolini non serve
più" non servono confini per salvaguardare l’identità di un popolo, ma il suo
profilo culturale, il suo humus che va
tutelato e tramandato partendo dalle cose più umili come il cibo per arrivare a quelle eccelse come l’arte, la
musica. Le note di “ Emmenez-moi…” splendida canzone di Aznavour, armeno anche
lui, sono un invito a visitare Marsiglia : “Qui non piove mai, tutti di sinistra,
niente borghesi, fascisti, razzisti, solo gente per bene”! Così dice “l’ultimo comunista”; si chiama Tonio (Gerard
Meylan) come Antonio Gramsci e va fiero di questo nome! E’ il fratello di Rosa,
la protagonista (Ariane Ascaride, moglie e alter-go del regista) ma che a differenza di lui, non si fa più illusioni sulla politica; al
rosso simbolo di un partito e di un orientamento in inarrestabile declino
preferisce la luce del tramonto, gli ultimi bagliori del sole che a Marsiglia
assumono un colore particolare che va dal giallo all’arancio e si stempera in un
tripudio di luce che abbaglia e commuove. La fotografia di Pier Mellon ne coglie tutto il fascino, la musica ammalia,
trascina in una dimensione onirica che solo l’amore può suscitare e risveglia
sentimenti che sembravano irrimediabilmente appassiti. Rosa, donna impegnata su
tutti i fronti, la famiglia che ha portato avanti da sola, essendo rimasta
vedova molto giovane, il lavoro (è infermiera) nell’ambito del quale
costituisce imprescindibile punto di riferimento e che svolge con tanta
dedizione e spirito di sacrificio. Amareggiata e delusa dal vedere sgretolarsi,
come i palazzi caduti nel centro del quartiere, i principi, i valori, le idee
che le erano stati inculcati da bambina dai genitori che avevano scelto per lei
il nome della grande Rosa Luxenburg ( economista e filosofa polacca, sostenitrice
del socialismo rivoluzionario) e che lei a
posto senza difficoltà a fondamento della sua esistenza, non cede alla
seduzione dell’indifferenza e anaffettività dilaganti. Cede invece all’amore
che accoglie, ormai “diversamente giovane”, con l’entusiasmo e quella gioia
semplice che sola può dare felicità,
arricchendo la vecchia convinzione, mantra sessantottesco secondo
cui il “privato è pubblico e viceversa”,
di una linfa nuova, la più autentica: se non nutri il privato di ciò che lo
rende vivo e sano, non offrirai al “pubblico”
se non ipocrisia, forme, non sostanza, forme di cui Omero,
dall’alto della sua stele, può solo sorridere!
Ariane Ascaride, con la
complicità di tutto un cast di attori, tra i quali spiccano Jean Pierre Daroussin e Gerard Meylan, che
abbiamo imparato a conoscere e apprezzare in tanti altri film di
Guediguian, più complessi ed amari come,
per esempio,“La casa sul mare” o “Gloria mundi”, esprime tutto ciò,
comunica la sincera intenzione del regista non di “ cambiare il mondo”, mission impossible non più perseguibile, ma di rinnovarlo alla
luce delle idee che non muoiono se sappiamo trasmetterle convintamente,
renderle vive e far sì che esse illuminino ogni nostra azione . La politica
deve tornare in mano ai cittadini, non stagnare in quelle di miseri politicanti che agguantano la cosa
pubblica solo per farne scempio! Non sono le loro scelte che ci salveranno, ma
un coacervo di culture alle quali nessun
muro può impedire di essere diffuse. Il razzismo è una malattia da cui si può
guarire; essa si annulla da sé integrando e accogliendo quelle masse di
individui che si spostano da una regione all’altra del pianeta in cerca di migliori
condizioni di vita. E’ accaduto nel passato, può e deve accadere anche oggi.
Così come apprezziamo la malinconica ironia del russo Cechov, le note suggestive
che fuoriescono dalle pagine della “Ricerca
del tempo perduto”, altrettanto possiamo amare la poesia, la musica che ogni
individuo porta nel cuore perché gli ricorda la sua infanzia, la famiglia
lontana, le sue origini e infine quella indefinita inconfondibile immagine che
la lettura dei classici della sua terra
gli ha impresso nel ricordo”! Il film si conclude con una messa in scena
teatrale che si snoda lungo le strade di Marsiglia e a cui
partecipano tutti gli abitanti di Noailles, il quartiere dove si è consumata la
tragedia. Si alza così verso il cielo un
coro unanime, una preghiera in memoria delle vittime di quel tragico novembre
del 2018. E’ un momento di grande commozione, ma, lungi dall’indurre nostalgia
per il passato, è un segno di rinata solidarietà e speranza nel futuro. Niente è dunque è finito; tutto comincia!
Potremmo concludere così,
se questa che è la frase finale del film, non fosse stata già abbondantemente
citata, dunque ne ho scelto un’altra a suggello del messaggio che il film mi ha
lasciato dentro ed è quella che Rosa
dice a Enri, nel corso di quella cena, sul mare al calar del sole, che sarà galeotta per entrambi: prenda la
triglia, la triglia , c’è tutto il Mediterraneo lì dentro” !!!
Jolanda Elettra Di Stefano
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