Processo ai Chicago 7 - Regia di Aaron Sorkin


 Lo chiamarono così: "Processo ai Chicago 7" perché fu istruito contro "un numero" e perché fosse chiaro, sin da subito, che non li si considerava persone, che il processo sarebbe stato una farsa, che il finale era già stato scritto e che gli imputati meritavano solo di essere sbattuti in galera, per almeno trent'anni.. Siamo nel '68, un gruppo di ragazzi, aderenti, a vario titolo, alla sinistra radicale. esponenti del Movimento studentesco, del Flower power e del Black power, chiedono alle autorità competenti, di Chicago, di poter manifestare dinanzi all'Hilton - Hotel, dove il 23 agosto di quell'anno si svolgerà la "Convention" del Partito Democratico, per chiedere lo stop alla guerra in Vietnam e opporsi alla decisione del neoeletto Presidente Richard Nixon  di  non  desistere, anzi di  incrementare il numero delle unità militari che sarebbero così passate   da 75.000 a 120.000.

Il giorno convenuto , una folla oceanica da tutte le città americane, mossa anche solo da quest'ultimo diktat del Presidente, si riversa su Chicago e quella che doveva essere una protesta pacifica, degenera subito in un tafferuglio. L'epilogo è scontato; catturare i responsabili per la polizia è un gioco facile. Non hanno armi e la polizia invece spara, provoca e poi spara. In sette vengono arrestati, "giovani petulanti e pericolosi" (per definizione del  giudice) che, al grido di "Tutto il mondo ci guarda", avevano mobilizzato mezza America. Bisognava  fermarli prima che sovvertissero l'ordine delle cose, che facessero crollare l'establishment e sconvolgessero quel quieto vivere che aveva permesso l'assassinio di John Kennedy, di Malcom x, di Martin Luther King e di Robert Kennedy: quel senatore che in uno dei suoi ultimi discorsi, citato nel film , ripeteva commosso: "Non odio, non più odio! Gli americani hanno bisogno di amore e saggezza! Quando tornerete a casa, pregate per Martin Luther king"! 

 Tra i sette arrestati, con futili pretesti e ridicole prove ( demolite, ad una ad una poi, nel corso delle 149 udienze del processo ),    immancabilmente  un nero al quale si imputa l'accusa più grave, un presunto omicidio. Al processo, l'anno dopo, si fronteggiano due abilissimi avvocati ( perfetti nel ruolo, gli attori Joseph Gordon Levitt e Mark Rylance ) uno, l'avvocato dell'accusa, preparato, ferratissimo, userà ogni cavillo della legge per piegarne i vari comma, con precisione da chirurgo, al trionfo del più cinico dei verdetti. Perfettamente speculare al primo, altrettanto impeccabile , l'avvocato della difesa , all'apparenza dimesso , umile ma attento e pronto a contestare con lo stesso rigore, le farraginose argomentazioni dell'accusa.

Era chiaro a tutti  che quello che si stava svolgendo sotto i loro occhi, fosse un processo politico, la difesa andava dunque giocata sul filo del rasoio, senza lasciarsi andare alla scivolosa china cui avrebbe condotto la leggerezza di dichiararlo apertamente. Tale convinzione, intanto, cominciava a penetrare però, in maniera irreversibile, nella coscienza di tutto il pubblico in sala e soprattutto, in quella dei giurati della giuria popolare.

Vedere questo film , sulle prime è come sfogliare un buon vecchio libro di storia, dimenticato sugli scaffali  e un po' impolverato, riaprirlo e guardarne le foto, grigie,  ocra, sfocate e vedere  da esse, dalla loro semplicità documentaristica, saltare fuori la verità, emoziona non poco, giacché si tratta di storia che abbiamo vissuto, ma la nostalgia che sempre accompagna il ricordo, svanisce presto perché si viene travolti dal ritmo delle immagini e dall'incalzare del dialogo. Il montaggio e la sceneggiatura che lo stesso regista ha curato, e strutturato  in maniera  disorientante e a tratti distopica, fanno sì che  le scene  evidenzino la contraddittorietà del reale, prima ancora che essa  si evinca dalle parole stesse e si riveli in tutto il suo squallore, una "giustizia" fortemente connotata e condizionata da ben precisi intenti politici. In tribunale poi, vedere calpestare la logica della difesa, da parte di chi, con assoluta equità, dovrebbe poi giudicare, distrae; la tensione si allenta e si ride come se si stesse assistendo ad una commedia. L'attore, nel ruolo del giudice, l'ottantaduenne indomito, Frank Langella, usa tutto il suo stile e la sua maestria nell'esprimere l'ottusità del potere e la totale assenza di etica nel suo personaggio, che svolge un ruolo delicato e, lungi dall'essere irreprensibile, si dimostra facilone e spudoratamente di parte, cosa che lo indurrà addirittura a fare allontanare dall'aula il testimone chiave : R. Clark, ex procuratore generale e consigliere dell'ex Presidente Johnson. 

Questo processo che passò alla storia come "The crazy trial" durò tre anni ed ebbe 149 udienze; gli imputati , prima confermati in arresto, furono poi, in appello, del tutto scagionati. 

Ottima scelta quella di Sorkin, il regista; dirige un cast di tutto rispetto, gli attori sono perfettamente complici nel realizzare una messa in scena di tipo corale che deve riflettere la convinzione di chi sta dalla parte del giusto: Sacha Baron Cohen gioca con l'ironia, John Carrol Linch col sarcasmo, Yahya Abdul - Mateen, uscendo fuori dalle righe (l'interprete del fondatore delle "Pantere nere") ma solo perché provocato e ingiustamente vilipeso. Tra tutti eccelle  il protagonista, nel ruolo di Tom Hayden , il leader del movimento studentesco che negli anni sessanta, negli Stati Uniti, si batteva per i diritti umani e contro ogni guerra.  Anche qui, sempre all'altezza del ruolo, Eddie Redmayne. Oscar per "La teoria del tutto"  e "Nomination" per "The danish girl": pacato, discreto, impeccabile nell'atteggiamento e a tratti,  arrendevole , ma forte infine, come del resto lo fu, il vero Tom, della sua e dell'innocenza dei suoi compagni che gli affideranno la carta vincente del processo.   La sola lettura dei nomi dei caduti, anche giovanissimi della guerra del Vietnam sarà l'ultimo argomento incontestabile  della loro difesa. 

Il giudice  ad essa  non saprà, di rimando, opporre altro che le sue grida sconnesse; quel ragazzo timido  che gli sta davanti e di cui non potrà fare a meno, di lodare la correttezza per il comportamento sempre tenuto in aula, avrà un futuro da  politico di primo piano, le sue battaglie, tante, poi sostenute a fianco della moglie, Jane Fonda, avranno rilevanza mondiale!

                                           ( Jolanda Elettra Di Stefano)

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