PAPER LIVES

 Paper lives- Regia di  Can Ulkay

In un mondo dove i bambini piangono, ridere può essere solo crudele!

Dedicato a tutti i bambini che crescono da soli per strada.

Sono parole inequivocabili, potrebbero bastare da sole a sovvertire ogni programma di governo, anche di quelli nati dalle emergenze delle pandemie, e invertire la rotta in direzione dell'umanità e delle sue creature più deboli e indifese. Il regista ponendo questa premessa, ci trascina sin da subito nel vivo di una storia di pressante e, a tutt'oggi, tragica attualità; conoscerla è un dovere improcrastinabile per farsene carico ed agire di conseguenza.

Il film "Paper lives", è ambientato ad Istanbul, città che appare in tutto il suo splendore, esaltata da una fotografia complice, ma non ruffiana, da Can Ulkay, il regista , il quale, piuttosto che usare le immagini per fare stridere il contrasto tra le vicende narrate e il fascino ammaliante della capitale turca, si serve di un raffinatissimo gioco di luci  giallo-dorate, che ne avvolge  i panorami e  le conferisce un  aspetto  surreale e fantastico.

 "Vite di carta - scarti"  come essi stessi si definiscono, sono i protagonisti di questo film, "scarti" che, con gli scarti degli altri, cercano di ricostruirsi una vita. Mehmet, uno di loro gestisce appunto, una discarica e una sera per caso, tra i rifiuti della giornata trova un bambino! Ali- così rivelerà di chiamarsi - una volta scoperto, scappa, atterrito; riacciuffato da Mehmet , lo supplica di non portarlo alla polizia e confessa che la madre stessa lo ha  nascosto tra i rifiuti per salvarlo dalle mani violente del patrigno che lo picchiava a sangue. Il suo sogno è ora quello di lavorare e guadagnare sufficiente denaro, per salvare anche la mamma da questa crudeltà.

Mehmet lo rassicura, riesce ad infondergli fiducia; trattandolo con tutta la tenerezza possibile, gli promette di tenerlo con sé e di aiutarlo in tutti i modi, come, del resto, aveva fatto con tutti gli altri ragazzi che collaboravano con lui, alla discarica. Per Alì Mehmet prova però un affetto particolare, perché in lui, si rispecchia, vede in lui un suo piccolo alter-ego giacché anch'egli ha vissuto il trauma dell'abbandono e questo transfert funziona come un'ancora di salvezza; finisce per essere una ragione di vita, per un giovane uomo che per altro, è molto malato e deve fare quotidianamente i conti con la sua precaria salute.  Egli si dedicherà dunque con trasporto "materno", al piccolo e cercherà, come può di esaudire ogni suo desiderio, pur di vederlo felice. E' così che riesce in parte, a rimuovere e sublimare le sue sofferenze; arriverà persino a spendere per il bimbo quei risparmi che invece gli sarebbero dovuti servire per un trapianto di rene di cui aveva urgente bisogno! 

Una scelta da santo -diremmo noi- e sacra è infatti l'atmosfera che il regista gli crea intorno. Una luce dorata illumina infatti le scene e riscalda di mistico tepore anche la stamberga dove vivono i due protagonisti della vicenda. Anche le strade che percorrono per lavoro, le case dei vicoli più poveri di Istanbul,  abbellite  e rallegrate dai colori dei panni stesi al vento e al sole , sembrano non avere nulla da invidiare ai quartieri eleganti, a quelle dimore lussuose che, dalle loro camere con vista, godono dei tramonti infuocati, che si riflettono nelle acque del Bosforo!

 Anche le onde del mare si accavallano e ridono , si inseguono, spumeggiando, partecipano alla felicità di Alì  che con l'aiuto dell'amico-padre, imparerà anche a nuotare!

Ancora sotto il profilo scenografico infine, l'insistenza  con cui vengono inquadrati i ponti,  non è certo casuale. Tra essi, infatti, spicca  luminoso e bianco, svettante contro il cielo azzurro, il più bello e il più  nuovo. Questa maestosa, benché apparentemente leggerissima, opera di architettura contemporanea, in questo contesto, ancorché collegare l'Oriente all'Occidente, sembra  voler armonizzare, ricchezza e povertà, così pure simbolicamente, appianare  il difficile rapporto tra il  passato e il presente,  di una città  da sempre strategica, per quell'equilibrio  geopolitico sempre auspicato, in questa complessa fetta di mondo, ma mai del tutto raggiunto. 

 Nelle intenzioni del regista, il film è certamente un omaggio alla sua città, alla storia millenaria di essa, alle sue moschee, ai suoi monumenti alla sua arte: Can Ulkay, col suo sguardo affettuoso e un virtuale abbraccio, la proietta così, verso un futuro  di pace e fratellanza . 

                                               ( Jolanda Elettra Di Stefano)

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