La strada   

Nel 2006, in tempi non sospetti, potremmo dire, lo scrittore statunitense Cormac McCarthy pubblicò: "La strada". Il libro, premiato col "Pulitzer l'anno dopo, ebbe un grande successo in tutto il mondo che, evidentemente però, non mostrò di capirlo e apprezzarlo sino in fondo, non permise ad esso, infatti, come invece sarebbe stato auspicabile, di sprigionare del tutto, quella forza dirompente che pure contiene e in cui consiste il suo vero valore. Oggi torna di grande attualità, se mai l'avesse perduta, perché tristemente presago dell'Apocalisse che si è scatenata, dell'inesorabile avanzata di quel male oscuro che ci trattiene in questo limbo d'angoscia, per cause che conoscevamo bene, ma che, in parte, abbiamo sottovalutato o, quel ch'è più triste, irresponsabilmente trascurato. Rileggiamolo dunque: non consola, non dà speranza ma la crea, fa parlare il dolore, dà ad esso una veste, una voce e lo trasforma in luce che sola può illuminare il sentiero della volontà e alleggerire l'attesa di un domani che sarà migliore o non sarà!

Un uomo e un bambino, in questo caso, un padre e un figlio, sopravvissuti ad un disastro ecologico di proporzioni planetarie, tentano una disperata fuga da quel deserto dove solo regna desolazione e morte; li guida la pallida speranza che altrove, in direzione dell'oceano, ci possa essere ancora calore e vita.

Quelli che seguono sono brani del libro:

"Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte, allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni, uno più grigio di quello appena passato, Come l'inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo.

L'uomo rincalzò il fuoco, contro lo zoccolo di roccia dove lo aveva acceso, appese il telo di plastica, dietro di loro perché riflettesse il calore e , mentre stavano seduti al calduccio nel rifugio, raccontò delle storie al bambino. Vecchie storie di coraggio e giustizia, per quel poco che ne ricordava, finché il bambino si addormentò.

Una volta, nei torrenti di montagna c'erano i salmerini. li potevi vedere nell'acqua ambrata, con la punta bianca delle pinne che ondeggiavano nella corrente, li prendevi in mano e odoravano di muschio. Erano lucenti e forti e si torcevano su se stessi. Sul dorso avevano dei disegni a vermicelli che erano mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare. Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell'uomo, e vibrava di mistero"!

                                                          ( Jolanda Elettra Di Stefano )


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