Lo specchio della Shoah                     

             Wilhelm Reich

“L’amore, il lavoro, la conoscenza sono le fonti della nostra vita. Dovrebbero anche governarla! Tale assunto vale per tutte le epoche, dovrebbe indirizzare tutti i comportamenti umani ed essere principio ispiratore di ogni forma di governo”. Sono parole di Wilhelm Reich, filosofo e psichiatra testimone e vittima della follia di Hitler. Costretto a fuggire, infatti, dalla Germania, in seguito  alla promulgazione delle leggi razziali, visse in America dove pubblicò saggi  fondamentali per capire, conoscere e non certo giustificare, l’orrore del nazifascismo e tutte le sue nefaste conseguenze. “Egli applicò la sua conoscenza clinica della struttura del carattere umano alla scena sociale e politica, respinse fermamente il concetto che il fascismo fosse l’azione di un singolo individuo o di una sola nazione o di un solo gruppo etnico o politico. Negò anche una spiegazione di esso, puramente socio-economica come quella avanzata da Marx. Egli intese il fascismo-continua Mary Higgins ( esecutrice testamentaria del Wilhelm Reich Infant Trust Fund ) come una patologia, l’ espressione della struttura caratteriale irrazionale degli esseri umani medi, i cui primari bisogni ed impulsi biologici sono stati repressi per migliaia di anni. Partendo da tali presupposti, fa luce sull’origine dei movimenti fascisti organizzati passati e presenti, tale devianza - ammonisce- esiste ancora e domina i nostri conflitti sociali. Se vogliamo eliminare il caos e l’agonia della nostra epoca, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alla struttura caratteriale che li ha creati,  dobbiamo comprendere la Psicologia di massa  del fascismo e non presumere di averne superato o averne  definitivamente debellato il virus”.  

       Segue breve excursus sui film dedicati alla Shoah:           

     


                                     1)   Il Diario di Anna Frank ( U.S.A.1959 )

Tratto dal celebre romanzo pubblicato postumo, della piccola Anna, vittima dell’ olocausto, trucidata insieme a tutta la sua famiglia. Da rivedere, anche se non è un capolavoro e forza al di là del reale possibile i limiti del racconto. Più che la protagonista Millie Perkins, già diciottenne, poco credibile nei panni dell’adolescente Anna, sono degni di nota gli altri interpreti tra i quali spicca Shelley Winters, nel ruolo della signora Van Daan. Eccellenti, sia la fotografia che la scenografia, meritatamente premiati con l’Oscar. Tengo a precisare inoltre che  George  Stevens, il regista, in qualità di operatore al seguito dell’esercito americano, aveva filmato il documentario che aveva immortalato la liberazione dei prigionieri dal campo di concentramento di Dachau. Qui applica lo stesso rigore e la stessa onestà superando con maestria le difficoltà che derivavano dal fatto di  aver girato  la pellicola  nell’angusto spazio di un appartamento, scelta voluta che rende l’idea di quella reclusione, di quella vita-non vita cui Anna e i suoi familiari si sottoposero, sperando in una salvezza che mai sarebbe arrivata!

               


                                               2)   I sequestrati di Altona (1962)

Interessante anche se non tra i migliori di Vittorio De Sica perché ci parla della Shoah da un’ottica che ci consente di aggiungere un altro tassello alla panoramica su una tragedia difficile da  rendere in tutta la sua complessità e in tutta la sua  orrenda verità. Ogni opera d’arte , libro, quadro, fumetto , ogni film non possono che renderne  una parte ed essa non potrà mai  essere esaustiva. Quello che conta è che l’umanità non  dimentichi affinché, si auspica,  non accada mai più.

Tratto da un dramma di Jean Paul Sartre (1960), è la storia di un ufficiale della Wehrmacht, che, accusato di crimini di guerra , si nasconde, in realtà si autoreclude, protetto dalla sorella nella soffitta della villa di famiglia ad Altona, nei pressi di Amburgo, dove passa il tempo dipingendo. Johanna (Sophia Loren) la cognata, attrice brechtiana, gli farà prendere coscienza delle sue nefandezze a tal punto che al ricordo di esse non vorrà più sopravvivere e si suiciderà.

 Da salvare in questo real thriller storico-politico  i disegni delle pareti della soffitta-prigione, perché sono di Renato Guttuso: una buona messe di materiale per la “psicoanalisi”  di un mondo, di un’epoca , non solo di un individuo e della sua classe, in linea con la nostra premessa iniziale, lo studio e  lo scandaglio dei comportamenti umani  nella Germania di Hitler, condotto da W. Reich.


         


                                               3)  Negozio al corso

Oscar come miglior film straniero nel 1966, pone l’accento sulla paura che induce al delitto anche chi non farebbe, spontaneamente, mai  male a una mosca, o almeno  così pensa di se stesso. Una vecchia signora il cui unico torto è quello di essere ebrea, possiede un negozio in centro in città, ma non essendo in grado di gestirlo dovrà accettare la collaborazione di un falegname ariano che la aiuti a portarlo avanti. Sarà una trappola, come recita il titolo del racconto di L. Grosman da cui è tratto. Non appena giungerà, perentorio, anche in Slovacchia, l’ordine della deportazione, l’uomo, che era stato sempre  istigato dalla moglie  a consegnare l’anziana donna alla polizia, pur non volendo seguirne il cinico consiglio, accidentalmente ne causa la  morte; oppresso dal rimorso si suiciderà. Una piccola storia di ordinaria follia, ai tempi del nazismo, che il bianco e nero del film esalta in tutta la sua, sia pur bozzettistica, pregnante evidenza!

          


                                              4)   Il giardino dei Finzi Contini  (1970)

 Lo stesso De Sica ripropose il tema con “Il giardino dei Finzi Contini”.  La critica italiana non fu generosa nei confronti di quest’opera che si può definire    il canto del cigno del  grande maestro del Neorealismo italiano; essa però fu apprezzatissima all’estero dove vinse sia l’Orso d’oro alla Berlinale, che l’Oscar come miglior film straniero. Spopolò  tra i giovani di allora ai quali  fece conoscere l’orrore dell’Olocausto, raccontando una storia d’amore  alla quale prestarono anima e corpo due bravissimi attori: Dominique Sanda e Lino Capolicchio.

Per chiarire quanto fosse importante per la generazione del ’68 questo film, va detto che sui manuali di scuola, almeno quelli italiani, alla follia nazista era dedicata solo qualche sparuta pagina. I professori poi, se si chiedeva loro del fascismo, rispondevano imbarazzati dicendo che i documenti erano ancora secretati e nulla dunque potevano dire al riguardo. Cominciarono così i pellegrinaggi, oggi un “must”  per le scuole, per conoscere  i luoghi dove si  consumò, indisturbata, la strage  degli ebrei. Io stessa partii  per prima dalla mia città per Dachau, e rimasi scioccata nel constatare che esistevano davvero gli strumenti di tortura, le camere a gas, i forni crematori. Questo breve viaggio fu il mio romanzo di  formazione. Non fui più la stessa persona al ritorno, ebbi chiaro cosa  avrei fatto da grande, avrei  contribuito col mio lavoro di insegnante a dare voce a tutto quel dolore, avrei fatto parte di quel coro che dagli anni settanta in poi si è fatto sempre più insistente sino a  far istituire quella  giornata della “Memoria” che  l’umanità attraverso  libri, film e opere d’arte d’ogni tipo, non mancherà mai di celebrare.

Tornando al film, per chiarire la posizione della critica, cui si allude nella premessa, è opportuno ricordare che il film, non fu certo all’altezza del romanzo di Giorgio Bassani  da cui è tratto. L’autore stesso ritirò la firma dalla sceneggiatura che fu curata e portata a termine solo  da Ugo Pirro, ma l’ambientazione è da fiaba. Questo splendido giardino, in cui il film fu girato, ammaliava. Colori e natura giocavano un ruolo fondamentale nel rendere ancora più accattivante il fascino delle scene, si da farlo sembrare un luogo fantastico, una sorta di Paradiso terrestre dove solo si può essere felici! Fuori. la storia bruciava sotto forma anche di leggi razziali e dove passava, rastrellava vite umane e sogni.  

Per chi visita Ferrara “Il giardino dei Finzi Contini” è oggi una tappa imperdibile. Si trova in pieno centro a due passi dal palazzo dei “Diamanti”        
                                                                                                                                                                                                                                    

 

                 4) Il vecchio e il bambino – Regia di  Claude Berry -  (1967)

Narra di un bambino ebreo che viene affidato ad un uomo anziano, durante l’occupazione nazista di Parigi, perché lo nasconda e lo salvi dalla deportazione. Il vecchio accetta, suo malgrado, in realtà non vorrebbe saperne degli ebrei,  schiavo com’è del pregiudizio e dell’ignoranza che lo alimenta ma il miracolo avviene  e sono i sentimenti a realizzarlo. La tenerezza che il bimbo suscita nel cuore dell’uomo vanifica sino ad annullarla quella distanza e quella diffidenza che all’inizio non prometteva niente di buono. Il bambino sarà salvo e il vecchio  rinato dal torpore di quell’ottusa visione del mondo che lo aveva inaridito e condannato alla solitudine.   ( continua ….nel post  pubblicato il 13 marzo 2021)    



  6) Mr. Klein   - Regia di Joseph  Losey – (1975)

Mr. Klein, un capolavoro, uno dei tanti di Joseph Losey, che merita un posto, non di secondo piano, in questa rassegna, perché ci fornisce una chiave di lettura inedita, forse unica, nel panorama che si fa  sempre più vasto degli “omaggi” alla memoria dell’Olocausto. Alain Delon, in una delle sue migliori performance, presta il volto e dà spessore ad una psicologia complessa, ambigua quale è quella del protagonista, personaggio che sfugge ad ogni nostro legittimo tentativo di razionalizzarne i comportamenti. Quale migliore metafora per significare un fenomeno la cui mostruosità  solo il sonno della ragione poteva partorire. La shoa è qui vista dalla parte di chi la sfrutta, la accetta, dunque la considera un normale risvolto della guerra da cui poter trarre lauti guadagni. Mr. Klein, mercante d’arte,  uomo colto , raffinato, affascinante, ma privo di scrupoli, approfitta con cinica determinazione del dramma degli ebrei deportati; compra a poco prezzo i loro  preziosi  quadri  e li rivende realizzando affari d’oro.  A un tratto tutto questo “Pieno” di denaro, di “Cose”  belle, ma anche inutili di cui si circonda, gli scava un vuoto  dentro,  un vuoto che non gli lascerà scampo e lo indurrà ad una scelta irreversibile.

 Un thriller questo film in piena regola, sullo sfondo della Shoah, ambientato in una Parigi cupa , irriconoscibile, coperta da un velo plumbeo, che sembra aver barattato la bellezza con una sorta di quieto, benché tetro, vivere! Quando Mr. Klein scopre di avere un sosia omonimo,  ma ebreo, che a sua volta si serve di lui per sfuggire alla Gestapo, si  fa arrestare, quasi volesse espiare una vita che gli ha dato tutto, ma lo ha reso alieno a se stesso. E’ questa la più logica delle spiegazioni,  ma il finale è aperto ad altre soluzioni riconducibili a quel labirinto che è la coscienza sia di chi lo ha concepito e di chi lo osserva.  


  


 7) Arrivederci Ragazzi – Regia di Louis Malle – (1987)

Uno   degli aspetti tematici più interessanti  ai quali  Louis Malle, il regista, dedica  particolare attenzione  è quello che focalizza caratteri e storie di bambini e adolescenti. Ne  fotografa la  fragilità,  documenta il loro affacciarsi al mondo degli adulti e narra le delusioni cui vanno inevitabilmente incontro quando si scontrano con la realtà. In “Arrivederci ragazzi” film che  realizzò nel 1987, all’età di 55anni,  Malle racconta un’esperienza tristissima  che lasciò un segno indelebile nella formazione  della sua personalità tanto da indurlo, ma solo dopo tanti anni, a dedicare ad esso  un film, di cui scrisse per intero anche la sceneggiatura.

Siamo nel 1944,  il piccolo  Louis, Julien nel film, frequenta insieme al fratello il collegio  cattolico  di Saint Croix a Fontainbleau.  Qui conosce Jean, un compagno di classe; presto, superata  la rivalità iniziale( entrambi sono bravissimi)  diventano amici inseparabili, come solo accade a quell’età, condividendo letture, giochi,  interessi e l’amore per il cinema che i docenti non fanno loro mancare. Solo pochi mesi e questa gioiosa routine sarà  irrimediabilmente sconvolta dalla crudeltà di quelle leggi, di quei provvedimenti feroci che accompagnarono e supportarono  la guerra già in atto da ben cinque anni. La Gestapo avvertita da una soffiata che segnala la presenza  di  studenti ebrei, farà irruzione nella scuola e porterà via, dalla classe di Julien, Jean e altri due compagni. Moriranno nei lagers. La stessa tragica sorte subirà il direttore per avere protetto i tre ragazzi accogliendoli nella scuola con la  speranza di salvarli. Sarà un trauma per quegli studenti.  Perderanno, per ragioni che non riescono a spiegarsi, i compagni e l’amatissimo professore, un punto di riferimento imprescindibile, quasi un padre per tutti loro. Commovente oltre ogni misura le parole con cui  egli li saluta  con  affetto, sforzandosi di sorridere: “ Arrivederci ragazzi – A presto”!   

       


                       
8)  L’amico ritrovato - regia di Jerry Schatzberg - (1989)

Tratto dal romanzo omonimo di Fred Huhlman e sceneggiato da Harold Pinter, il film narra dell’amicizia tra due adolescenti  bruscamente interrotta dalla promulgazione delle leggi razziali  in Germania e dagli eventi bellici che costrinsero uno dei due,  in quanto ebreo, a fuggire con la famiglia e trasferirsi in America. Tornerà dopo 50 anni  e scoprirà che l’amico, che un tempo si era lasciato ingenuamente trascinare da quell’entusiasmo cieco delle folle che osannavano Hitler,  poi era stato condannato a morte e  ucciso invece, per aver partecipato ad un attentato contro il fürer. Film commovente, ma per nulla indulgente al patetico, lascia all’evidenza dei fatti il compito di giudicare la storia. L’opera di Schatsberg, il regista, non è solo uno sguardo sulla shoa, ma sulla Germania, un paese che, a quasi mezzo secolo dalla fine di quella catastrofica guerra di cui era responsabile di fronte al mondo,  non mostrava  ancora  di aver fatto  del tutto  i conti con il passato! Il  muro di  Berlino, lo ricordiamo, sarà abbattuto il nove novembre dello stesso anno in cui il film è uscito nelle sale. Sedici anni dopo, nel corso della seduta n. 60/7 l’Assemblea generale  delle Nazioni Unite sancirà l’obbligo di rendere omaggio alle vittime dell’olocausto istituendo “Il giorno della Memoria” che da allora in poi sarà celebrata in tutto il mondo il 27 Gennaio di ogni anno. 

Jerry Schatzberg, americano di origine ebrea, fotografo di fama internazionale già prima di dedicarsi alla regia, avvalendosi della collaborazione di Bruno De Keyzer, cura l’aspetto scenografico e il colore con particolare attenzione. Ancor più che il dialogo , sono questi i mezzi con cui  rende più suggestivi  i lunghi flashback per meglio significare  il doloroso riemergere del ricordo  nella mente del protagonista   e illuminarne il  sofferto percorso verso il perdono!

             

    


              9) Schindler’s list  - regia di Steven Spielberg - ( 1993)

Dello “Specchio della Shoah” è l’opera più rappresentativa e un capolavoro senza riserve. Tratto dal romanzo di Thomas Keneally , è la storia paradossale e miracolosa di un uomo, un ricco industriale che riesce a salvare 1100 ebrei dalla deportazione. Prima li aveva assunti per pura convenienza (essi costituivano manovalanza a buon mercato) poi, a poco a poco, senza rinunciare ai vantaggi che egli continuava a trarre dal suo lavoro e da affari non del tutto trasparenti,  finirà per garantire loro, attraverso questa sorta di impiego-nascondiglio, la sicurezza e la vita. Steven Spielberg, di famiglia ebrea, aveva vissuto in prima persona il dramma dell’intolleranza. Trasferendosi infatti dall’ Ohio, dove era nato, in California, subì il disprezzo dei compagni per via della  sua identità religiosa e culturale. Più verosimilmente perché ne invidiavano l’ intelligenza e la genialità, precocemente manifestata per altro, giacché cominciò a girare film appena undicenne. Tale amarezza lungi dal soffocare la sua creatività gli detterà pagine di cinema di valore estetico contenutistico eccezionale  e  gli consentirà di rivelarsi come quel genio  quale è oggi universalmente riconosciuto. A monte di “Schindler’s list”, non c’ è solo il tributo alle vittime della barbarie nazista, ma  una ricerca psicoanalitica attraverso cui l’inventore del “road movie” sublima ed esalta la sua identità di ebreo e il suo “destino di errante” per antonomasia. Il ”nomadismo” delle immagini che caratterizza la sua filmografia non è altro che il tributo che Spielberg paga alle sue origini, alle sue radici. Schindler’s list non fa eccezione, in questo senso, e tante sono le analogie con altri film precedenti. “Amistad”, la barca al centro del film-viaggio,  trasporta africani sequestrati per essere venduti al mercato degli schiavi.  L’impero del sole racconta i lunghi anni della prigionia del protagonista,  nel campo di concentramento giapponese. I bambini rapiti in” Indiana Jons e il tempio maledetto” lavorano, ma in miniera, costretti come schiavi, in condizioni disumane. Se ne trae la conclusione che  il tema ispiratore di tutta l’opera di Spielberg è, strictu sensu, il problema dell’alterità che condiziona, compromette e avvelena qualsiasi forma di relazione umana. I campi di concentramento, il filo spinato, spesso evidenziato dalle scene, i mezzi di tortura sono correlativi oggettivi di una politica lontana anni luce dall’uomo e dallo scopo per cui egli stesso nella sua Età dell’oro”  l’aveva creata!

Gli attori sono eccellenti: Liam Leeson, il protagonista, dà uno spessore al personaggio tale da  farlo apparire più vero del vero , Ben Kingsley    e Ralph Fiennes  all’altezza di se stessi e della materia che trattano, ma a tutti ruba la scena  la bambina col cappottino rosso che spicca su quel bianco e nero adottato per dare maggiore risalto documentaristico alle scene. E’ al contempo la metafora più straziante  dell’infanzia negata e immolata sull’altare dell' empietà. 


                          10) La Vita è bella - regia di R. Benigni - (1997)

 Non  meno efficace per significare la shoa si rivela la favola che Guido Orefice  (Roberto Benigni), in “La vita è bella”, racconta al suo bambino, per fargli capire o, per meglio dire, aiutarlo a rimuovere non un passato traumatico, ma un presente orrendo e assurdo. Il bimbo non capisce, ma non ha paura perché il padre inventerà per lui un gioco a premi entro il cui schema far rientrare la  logica dell’illogico e gli farà accettare un durissimo giaciglio di legno per lettino e uno stanzone squallido, pieno di gente sconosciuta, come unico ambiente dove vivere. Per il piccolo Giosuè  tutto è, infatti, svanito a un tratto: la sua città, la sua casa, i giocattoli, il giardino dove è nato  e ha vissuto i suoi primi cinque anni felici; tutto svanito e, fuori dall’orrendo rifugio, uno spazio vuoto, angosciante, freddo  che solo il sorriso della mamma ( Nicoletta Braschi ) riesce a riscaldare e rendere umanamente sopportabile, quando le è concesso di trascorrere un po’ di tempo insieme a lui.  E’ questo il più bel film del giullare più amato dagli italiani e non solo, l’unico che è riuscito a far sorridere di una tragedia e,  forse proprio per questo, a mettere ancor meglio in luce tutta la sua macroscopica insensatezza.  Dinanzi ad essa, infatti, frana ogni linguaggio codificato da regole e solo la comicità, cui ricorre un padre per consolare il figlioletto, può venire incontro all’afasia indotta dal terrore. Non sono mancate le critiche a questa bizzarra versione della Shoah, ma certo è stata una geniale trovata che ha divertito e commosso anche la comunità ebraica e procurato al film una valanga di premi: Davide di Donatello, Gran Premio della Giuria a Cannes e la consacrazione, a  Hollywood, come miglior film straniero di quell’anno. Complice  di questa meraviglia la musica di Nicola Piovani che ha arrangiato, curato la colonna sonora e  composto quella splendida canzone oggi cantata in tutto il mondo, “Smile without reason”.                                               

                       Jolanda Elettra Di Stefano                                                           

       (La rassegna continua...)


       

 

 

                                                   

 

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