L'abbaglio (2025), regia di Roberto Andò
Allora è chiaro che cos’è “L’abbaglio”?! Il titolo del film si rivela in tutta la sua icastica pregnanza che anche la musica, infine, ironicamente esalta ricorrendo alle note altisonanti del “Nabucco”! Appare in tutto il suo squallore per contrasto, quest’ attuale tristissima politica, piatta e maleodorante, anemica e sanguigna nello stesso tempo, che viviamo, che accettiamo, il fascino della destra che cavalca indomita dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre a… Washington, quel fascino fin troppo facile da identificare e difficile da digerire da parte di tutta quella fetta di umanità che soffre, quel fascino che fa girare la testa … speriamo presto però, almeno per quel che ci riguarda, in tutt’altra direzione!
Un spassosa “Ucronia” che si deve alla penna di Roberto Andò e dei suoi fedelissimi
collaboratori, gli stessi con i quali ha realizzato il suo precedente successo, La stranezza”.
Ripercorrendo lo stesso sentiero impervio, ma proprio per questo ancor più interessante, seguendo il quale è riuscito a
introdursi e introdurci nei labirinti della creatività del mai del tutto
esaustivamente esplorato drammaturgo Luigi Pirandello, il regista ci
regala con l’abbaglio” un’opera di pregio, che incanta e seduce pur lasciando ampio spazio di riflessione e
ripensamento, che segnerà la storia e la storia del cinema almeno per un altro
millennio a seguire. Esagero? Può darsi, sono di parte, siciliana, cresciuta a
pane e ironia, non posso fare a meno di apprezzare quell’umorismo schietto e
genuino, lieve ma profondo di Ficarra e
Picone, così pure l’affettuoso approccio con cui Tony
Servillo, napoletano doc, impersona il colonnello Orsini, palermitano di rare
virtù, luogotenente del generale Garibaldi al tempo dell’impresa dei 1000, e
l’adorabile Giulia Lazzarini, l’indimenticabile “Ariel” della nostra
adolescenza, qui nel ruolo significativo e commovente della madre di lui.
Il film , tratto da un racconto di Leonardo Sciascia dal
titolo emblematico “Il silenzio”, parola che, una volta tanto, non significa omertà,
ma anzi, dignità e solidarietà umana, narra le vicende di due avventurieri,
partoriti dalla fantasia degli autori, che li hanno modellati con tale maestria
e arguzia da renderli perfettamente aderenti alla duttile
personalità di Ficarra e Picone e farli apparire
più veri del vero! Sono essi infatti la “Storia”, mentre invece la storia, come l’abbiamo
studiata a scuola, non è altro che uno sfondo! Vediamo infatti, di essa il back
stage, il fuori onda, quindi
paradossalmente la verità! Due “miserabili pezzenti” si arruolano tra i “Mille”
per puro tornaconto, l’uno Domenico Tricò (Ficarra) desideroso solo di
ritrovare in Sicilia, la fidanzata e
sposarsi, l’altro, Rosario Spitali, sedicente “barone”, in realtà solo baro di
professione, in fuga da quei creditori che ha truffato, e ai quali, sui tavoli da gioco, ha estorto ingenti somme
di denaro. Diserteranno non appena sbarcati in Sicilia e parallelamente alle
azioni militari vivranno, in proprio, avventure rocambolesche che niente hanno a che
vedere con gli ideali del Risorgimento. Non più garibaldini dunque, una volta
messo piede sulla terra natia, ma “Siciliani” a tutto tondo, vigliacchi,
scansafatiche, “nati stanchi” e solo per tirare a campare. Ciò non toglie che al momento opportuno
sapranno sfoderare a sorpresa, quella nascosta innegabile virtù meridionale,
che li farà protagonisti e artefici del
loro, come del destino di tutto un popolo! Come in quei libri che leggevamo da bambini, che
bastava sfogliare perché le figure scattassero in posizione verticale e ci regalassero l’illusione della
tridimensionalità, Domenico e Rosario
rubano la scena allo stesso Garibaldi e
agiranno nel bene e nel male come indiscussi primi “attori”. Sullo sfondo
infatti, come dicevo all’inizio, grigi, sbiaditi come dagherrotipi, coperti di
polvere e scovati in soffitta per caso dalle zampette di un gatto impiccione, appaiono gli artefici
della cosiddetta Rivoluzione italiana. L’eroe dei due mondi, uomo di grande
fascino, occhi profondi che guardano lontano, verso quel futuro che sta
regalando anche a chi non lo vuole; ne è l’interprete Tommaso Ragno, il quale,
smessi i panni del maestro di Vermiglio, in verità troppo seriosi e non del
tutto realistici, ha acquistato quelli dell’uomo d’azione, svelto nel decidere,
ma prudente e geniale nel concepire una manovra vincente che si rivelerà scacco matto per l’esercito dei Borbone.
Intorno a lui, le camice rosse dei “1000”, non un esercito regolare ma un numero
, un numero fortunato, forse, stante il colore delle loro giubbe, comunque
perfetto elemento scenico che anche Guttuso immortalerà in uno dei suoi più
celebri quadri. Il colonnello Orsini, uomo d’altri tempi, nobile di nome e di
fatto, braccio destro e sinistro del generale Garibaldi, essendosi accollato
una manovra diversiva rischiosissima, il giovane tenentino Ragusin, felice
macchietta, con quell’accento “nordico” che ne sottolinea l’ingenuità e al
contempo rimanda a una lingua italiana
ancora in attesa della sua integrazione.
Non a caso il film è quasi tutto recitato in siciliano e tradotto con
sottotitoli.
E ancora tra
personaggi e interpreti, primo inter pares, il paesaggio
siciliano, la campagna, arida ,
assolata, qua e là cosparsa da cespugli di ginestre. Pare di sentire il profumo
di quel fiore che Leopardi cantò come simbolo
di un mondo nuovo che si augurava dovesse nascere sulla base imprescindibile
della solidarietà e della fratellanza. In questo deserto, tra queste pietre, tra ruderi di antiche e
gloriose vestigia si aggirano, senza ideali e senza meta, i protagonisti del
racconto di Andò, figure emblematiche
che riassumono nella loro patologica strafottenza anche i personaggi che hanno
fatto la storia del cinema e dell’Italia tutta, ancor più di tutti gli eroi, le
cui statue affollano le strade e le
piazze del nostro “Bel Paese”: Giovanni
Busacca e Oreste Jacovacci (alias
Vittorio Gassman e Alberto Sordi
diretti da Monicelli ) due giovani
scapestrati che, chiamati al fronte, tentarono
con ogni mezzo di disertare da quella “Grande
guerra” che di grande potè poi
solo vantare lo sterminio degli Ebrei e il mostruoso epilogo consumatosi a Hiroshima e a Nagasaki; la loro fine , però,
è innegabile, fu da eroi! Figura
indimenticabile inoltre “ Il generale della Rovere”, al quale dà corpo e anima, diretto
da Rossellini, Vittorio De Sica, un imbroglione, un uomo senza scrupoli che
inaspettatamente vedremo offrirsi alla
morte con grande dignità! E ancora, Vittorio Gassman ne “L’armata Brancaleone”
di Monicelli che ricostruì un Medioevo pittoresco e straccione di cui noi oggi
siamo, potremmo dire per certi versi, il
futuro distopico. E così via, dissacrando la retorica della guerra, non si può
trascurare “Allons enfants”, un film che dipinse in forma memorabile, quella
prima grande illusione che portò i
giacobini italiani a seguire Bonaparte! A renderla sullo schermo un
impareggiabile Mastroianni!Allora è chiaro che cos’è “L’abbaglio”?! Il titolo del film si rivela in tutta la sua icastica pregnanza che anche la musica, infine, ironicamente esalta ricorrendo alle note altisonanti del “Nabucco”! Appare in tutto il suo squallore per contrasto, quest’ attuale tristissima politica, piatta e maleodorante, anemica e sanguigna nello stesso tempo, che viviamo, che accettiamo, il fascino della destra che cavalca indomita dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre a… Washington, quel fascino fin troppo facile da identificare e difficile da digerire da parte di tutta quella fetta di umanità che soffre, quel fascino che fa girare la testa … speriamo presto però, almeno per quel che ci riguarda, in tutt’altra direzione!
Jolanda Elettra Di Stefano
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