“Don’t Look Up” - Cronaca di una catastrofe annunciata: film avvincente, interessante, pioggia di spunti, sollecitazioni, proposte di discussione, interrogativi che chiedono adeguate risposte, domande che dobbiamo porci se vogliamo dare un senso alla nostra vita e non lasciare spazio solo a desolazione e sconforto, a un mondo quale lo ha già descritto McCarhty, nel suo apocalittico "La strada”. Come in un fast-food, Adam Mckay, il regista, ammannisce un piatto unico, un insieme di cibi che lo spettatore come l’”affamato”, ingoia con velocità, ma vorrebbe poi vomitare perché si accorge che ha fagocitato il suo stesso essere! Più che il bisogno, la fame, quello che lo spingeva a ingurgitare quel “cibo”, era la voglia di nasconderlo da qualche parte e non sentirsene responsabile! Intendo dire che l’autore mette troppa carne al fuoco ed essa fa più fumo che arrosto; il fumo si sa, è più tossico di tutto ciò di cui , ci si vorrebbe disfare, gettandolo nel fuoco!
Il regista, poliedrico e insofferente di limiti tra generi cinematografici, ancora un volta, come in “La grande scommessa “ e in “Vice”, sue precedenti opere, esige che non si inquadri anche questa in uno schema a priori. Essa potrebbe essere un Horror, un fantasy, uno psico- dramma, una commedia o tutte queste cose insieme. Certo è che non lascia indifferenti e ciò che la rende più inquietante è la casualità delle circostanze in cui è stato girato e di cui può essere considerata, oggi , suo malgrado, emblema. Il film: “Don’t look up”, iniziato in tempi non sospetti e con l’intento di porre il dito sulla piaga della crisi climatica, bloccato poi dal lockdown, è stato portato a termine tra mille difficoltà in un arco di tempo più lungo del previsto a causa della pandemia da covid: l’ infinitamente piccolo che tiene in ostaggio il mondo!
Il film ha un ritmo incalzante, la scena è attraente, la fotografia, ben calibrata conferisce agli esterni quella serena armonia che ben si sposa con la volta di un cielo, al di sotto del quale tutti sembrano felici. La stessa degli interni, sia essi lussuosi, come gli ambienti istituzionali o case di comuni mortali, come quelle dei protagonisti, mette in risalto quel che li caratterizza, senza enfatizzare gli uni né sottolineare la modestia degli altri. Gli effetti speciali inoltre “fantastici” nel rendere credibile l’incredibile! Avvalendosi della complicità di eccellenti attori Mckay mette a punto un catastrophe–drama inedito la cui trama è semplice e terrificante insieme. Una giovane ricercatrice dell’istituto di astronomia dell’università del Michigan, Kate Dibiasky, (Jennifer Lawrence sempre a suo agio in questi ruoli attraverso i quali, riesce a trasmettere ansia e rende quel disagio esistenziale tipico delle nuove generazioni) mentre è intenta a studiare l’esplosione delle stelle, scopre l’esistenza di una nuova cometa e constata che essa si trova in rotta di collisione con la terra. In preda al panico, comunica gli esiti della sua ricerca al suo prof.: Randall Mindy . Ne interpreta il ruolo Leonardo Di Caprio, perfetto anche in questa caricatura di prof., umile benché geniale, dall’aria sempre stanca di chi si dedica anima e corpo al suo lavoro e non è affatto avido di denaro o di fama. I due astronomi, coordinando le loro analisi, giungono alla conclusione che in soli sei mesi l’impatto avverrà e l’unica cosa da fare è intervenire tempestivamente per deviare la traiettoria della cometa-killer o sarà la fine per tutti e per tutto. E’ l’inizio, per i due scienziati di un calvario che avrà solo qualche parentesi di euforica esaltazione per il successo che la scoperta potrà procurare loro. Per il resto angoscia, attacchi di panico, depressione e sbalzi di umore che li faranno ricorrere all’uso di psicofarmaci, e li riporteranno a casa, rassegnati e sconfitti, ad aspettare l ‘inesorabile fine del mondo!
Quel mondo che avrebbero voluto e potuto salvare, ma che non vuole saperne di essere salvato. Quel mondo che sguazza nella fogna, si diverte coi social, complice e vittima di un sistema che lo stritola, che, fornendogli mezzi sempre più tecnicamente efficienti per comunicare, in realtà gli impedisce di socializzare, lo immiserisce, lo annienta. Per non parlare della politica, vuota maschera di se stessa, che trova qui, nella strepitosa performance di Meryl Streep, nel ruolo di Orlean “Presidentessa” degli Stati Uniti d’America, una perfetta rappresentazione. Ne viene fuori, infatti, una Trump in gonnella, insolente, sprezzante, sbruffona; riceve i due scienziati dopo due ore di anticamera, li ascolta e li liquida con una formula sbrigativa: Attendere e accertarsi! In una parola li manda al diavolo, decisa a liberarsi, al più presto, dei due menagrame del Michigan!
I nostri eroi non avranno miglior fortuna con Brie, anchor-woman dagli ascolti megagalattici, qui interpretata da Kate Blanchett che ci regala, a sua volta, una performance da urlo! Bellissima, seduttiva, elegante, anche quando confesserà -in extremis- la sua vera grande passione: “gettare merda” dai microfoni dell’emittente di cui è regina. Sempre a caccia di avventure eccitanti, ha avuto due mariti, parecchi amanti, trai quali può vantare anche due Presidenti, eppure terrà ad ammettere di aver vissuto, proprio con l’ingenuo astronomo l’esperienza più ”propulsiva” della sua vita! Gli concede dunque ampio spazio in tv! La notizia che lui porta è straordinaria, fa un’audience pazzesco; poco importa se predice una catastrofe. L’horror è tra i generi più seguiti dalle nuove generazioni, niente di meglio se essa si materializza in un’asteroide sconosciuto che non può non colpire la terra, se non si interviene, senza indugio, deviandone la traiettoria, come Mindy e Dibiasky suggeriscono!
Un’unica persona darà loro ascolto e prenderà in seria considerazione gli esiti della loro ricerca. E’ i il dottor Oglethorpe ( Rob Morgan) il comandante della “Difesa Planetaria” degli Stati Uniti d’America. Ma nulla potrà contro la proposta del braccio destro di Orlean di procedere alla frantumazione della cometa, piuttosto che deviarla, perché da essa si potranno ricavare minerali indispensabili per lo sviluppo dell’elettrotecnica: una fortuna insperata, un’opportunità imperdibile!!!
E gli americani, in tutto ciò? Per niente scossi, se non in misura irrilevante, dall’evento orrifico, sempre immersi in quella realtà virtuale garantita come vera da piccoli e grandi schermi, guardano la loro immagine riflessa nei selfie e, novelli Narcisi, non si accorgono che stanno per morire! Bombardati e assuefatti ad una informazione corrotta e strapagata, non prestano la minima attenzione a quelle sparute voci–contro che si perdono in tanto marasma mediatico. Di meglio non trovano che dividersi in negazionisti, catastrofisti, complottisti, scettici generici, maitre à penser da bar, fanatici di fake news e loro volenterosi avversari, e, per finire, in chi grida: “Don’t look up!”, “Don’t look up !” e viceversa. Accade insomma , e questo è il grande merito del film, ciò cui assistiamo da due anni a questa parte, in tutto il mondo a causa della pandemia e di tutte quelle forme di isterismo collettivo che da essa sono derivate.
Al prof. Mindy non rimane che tornare a casa per consumare l’”Ultima Cena” con mogie e figli. Come in tutte le “Ultime cene”che si rispettano”, anche a questa, non mancheranno gli apostoli: il dott. Othelterpe, quel simpatico nero che ha prestato sin da subito fede alla scienza, l’astronoma alla quale si deve la tragica scoperta e il nuovo amore di lei, Jule, Timothée Chalamet, un deliziosa presenza alla quale dobbiamo le parole meno ovvie di tutto il dialogo del film, “ la preghiera” : Onnipotente Padre, ti chiediamo grazia nonostante il nostro orgoglio, ti chiediamo perdono, chiediamo il tuo amore nonostante i nostri dubbi; donaci il coraggio e il cuore per accettare e affrontare questi tempi bui”!
Per quel che mi riguarda il film potrebbe finire qui. Lo spettatore sarebbe così libero di scegliere tra un messaggio finale di tipo religioso e uno, vagamente ironico, se non addirittura cinico. Un finale aperto, dunque, sulla base, non vincolante, di queste tre opzioni!
Invece no, come di consueto, per lo stile di Adam Mckay, anche qui c’è un epilogo, non indispensabile, a mio avviso! Se pensiamo poi -apprendo dai media- che il dubbio amletico, rimasto dopo la visione del film nella mente di un preoccupante numero di spettatori, è sapere se il lato B, che appare nelle scene post-titoli di coda, è quello di Meryl Streep o no, non ho veramente nient’altro da aggiungere!
Jolanda Elettra Di Stefano
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